Pompei è da sempre un simbolo sia di tragedia che di conservazione storica, come dimostra la recente scoperta di un salone da banchetto durante gli scavi dell’insula 10 della Regio IX di Pompei e con i calchi delle vittime dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. che mostrano momenti di vita, congelati nel tempo. Ma quanto conosciamo davvero di queste persone? Fino a poco tempo fa, la nostra comprensione era basata su ipotesi visive e intuizioni archeologiche, ma grazie ai progressi nell’analisi del DNA antico, stiamo svelando nuovi dettagli che sfidano le interpretazioni tradizionali. Scopriamo così che dietro i volti pietrificati ci sono storie più complesse di quanto si pensasse e queste scoperte ci stanno portando a riscrivere interi capitoli della storia di Pompei.
Sommario
Pompei tra mito e realtà
L’immagine popolare di Pompei è intrisa di romanticismo e dramma nello stesso tempo. I calchi, con le loro pose struggenti, hanno portato gli archeologi a costruire narrazioni di famiglie unite nel loro ultimo istante, ma si trattava spesso di interpretazioni influenzate dai preconcetti culturali dell’epoca. Pompei era una città dinamica e cosmopolita, un centro di commercio dove persone di diverse origini vivevano e interagivano. L’archeologia dell’Ottocento tendeva a enfatizzare il dramma umano per soddisfare il desiderio del pubblico di vedere storie emotive, basandosi su dettagli come la posizione dei corpi o i gioielli ritrovati. Tuttavia, l’analisi moderna ci sta mostrando una realtà diversa: le pose non raccontano sempre verità evidenti, ed i legami familiari ipotizzati spesso non esistono.
Cosa sono davvero i calchi di Pompei?
Contrariamente a quanto normalmente si pensa, i calchi di Pompei non sono corpi fossilizzati ma rappresentazioni in gesso create nel XIX secolo. L’idea fu di Giuseppe Fiorelli, che riempì con gesso liquido le cavità lasciate dai corpi decomposti sotto la cenere vulcanica. Questo metodo ha permesso di ottenere figure incredibilmente dettagliate, rivelando persino pieghe dei vestiti e gioielli. Tuttavia, queste rappresentazioni sono influenzate dalle tecniche archeologiche del tempo, meno rigorose rispetto agli standard odierni. Alcuni calchi furono persino modificati per apparire più drammatici, aumentando l’impatto emotivo sul pubblico. Oggi, grazie a tecnologie come le scansioni tomografiche, possiamo analizzare le ossa all’interno dei calchi senza danneggiarli, ottenendo dati preziosi su età, condizioni di salute e malattie delle vittime.
Il DNA antico che cambia la storia
L’analisi del DNA antico sta rivoluzionando la nostra comprensione sulle vittime di Pompei, in un recente studio, condotto da ricercatori di Harvard e Firenze, è stato analizzato il DNA di sette individui, rivelando dettagli sorprendenti. In molti casi, gli individui ritenuti familiari non avevano legami di parentela, ed i calchi attribuiti a donne sono risultati appartenere a uomini. Le analisi hanno anche svelato ascendenze nordafricane e mediorientali, dimostrando il cosmopolitismo di Pompei nel I secolo d.C. Questi risultati non solo ribaltano le interpretazioni romantiche del passato, ma ci forniscono anche nuove informazioni sulla mobilità e l’integrazione culturale all’interno dell’Impero Romano.
Smentite le interpretazioni tradizionali sui calchi di Pompei
Le nuove prove genetiche stanno smontando molte delle narrative costruite attorno ai calchi di Pompei, nella “Casa del bracciale d’oro”, ad esempio, i resti di quattro individui sono stati interpretati come una famiglia. Tuttavia, l’analisi del DNA ha dimostrato che non avevano legami di parentela e che l’adulto con il bracciale d’oro, ritenuto la madre, era in realtà un uomo. Anche nella “Casa del criptoportico”, due individui abbracciati, identificati come sorelle, si sono rivelati essere di sesso diverso. Queste scoperte mostrano quanto sia rischioso costruire storie basate solo sull’osservazione visiva, e ci spingono a rivalutare l’accuratezza delle interpretazioni archeologiche tradizionali.
Pompei, città cosmopolita e multietnica
L’evidenza genetica ha rivelato che Pompei era molto più di una città romana tradizionale, si trattava bensì di un crocevia di origini e culture diverse. Le analisi hanno mostrato una presenza significativa di persone con origini nordafricane e mediorientali, suggerendo che Pompei fosse abitata da individui provenienti da diverse parti dell’Impero. Questo cosmopolitismo è visibile anche nei ritrovamenti archeologici, quali spezie e alimenti esotici, che testimoniano una dieta influenzata da scambi commerciali con regioni lontane. Pompei appare così come un microcosmo dell’Impero Romano, dove persone di diverse culture vivevano e lavoravano insieme, arricchendo la vita sociale e culturale della città.
Implicazioni e riflessioni: una nuova visione del passato
Queste scoperte genetiche non solo arricchiscono la nostra conoscenza della Pompei del 79 d.C., ma ci insegnano anche quanto sia pericoloso affidarsi esclusivamente alle interpretazioni visive. La tecnologia moderna ci permette di guardare oltre le apparenze e scoprire storie nascoste, offrendo una visione più complessa e sfaccettata del passato. Le tecniche avanzate, quali le scansioni tomografiche e l’analisi del DNA, stanno dando voce a persone che sono rimaste silenziose per secoli, permettendoci di capire meglio chi fossero veramente.
La storia di Pompei è in continua evoluzione
Le nuove scoperte ci mostrano che la nostra visione di Pompei e del mondo romano è in costante cambiamento. Grazie alla scienza, possiamo superare i pregiudizi e le narrazioni romantiche per ricostruire una storia più autentica. Ogni nuova evidenza ci avvicina alla realtà della vita nell’antichità, mostrandoci che la globalizzazione e l’integrazione culturale non sono fenomeni moderni, ma parte integrante della storia umana. Pompei, ad esempio, con la sua varietà di persone e culture, rappresenta un esempio affascinante di come il passato sia sempre più ricco e complesso di quanto possiamo immaginare.
Redazione La napoletanità è uno stato dell’anima, un modo di intendere la vita, di ricordare, di amare, un’attitudine allo stare al mondo in modo diverso dagli altri. La napoletanità non è un pregio e non è un difetto: è essere “diversi” dagli altri, in tutto. Ecco noi ci sentiamo così. (definizione liberamente tratta da uno scritto di: Valentino Di Giacomo napoletano, classe 1982, redattore del quotidiano Il Mattino di Napoli) Leggi altri articoli dello stesso autore… |
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