La nostra terra: il Vesuvio, la montagna di fuoco.
Il visitatore che arriva nei nostri territori non può far altro che volgere lo sguardo al maestoso ed emozionante rilievo vulcanico del Vesuvio, con i suoi 1.281 mt. di altezza, e rimanere immancabilmente attratto e affascinato dalla “montagna di fuoco”; la stessa medesima attrazione che nei secoli ha coinvolto milioni di esseri umani che, nel tempo, hanno posto lo sguardo sul complesso vulcanico Somma-Vesuvio.
Sommario
Il complesso vulcanico del Vesuvio ha un’età di circa 400.000 anni, così come si è appurato tra la fine del 1970 e i primi anni del 1980, quando furono datate delle lave profonde, tramite un carotaggio eseguito nel territorio di Trecase; la sua storia è documentata da 22.000 anni, anche se dal 79 d.C., come conseguenza della distruzione di Pompei, Ercolano e Stabia, le informazioni divengono più ricche e complete.
Storie vesuviane
Il complesso vulcanico del Somma-Vesuvio… due tipi imprevedibili e dal sangue caldo.
Il Vesuvio è, senza ombra di dubbio, uno dei vulcani più famosi e studiati della Terra: fama dovuta alla eruzione esplosiva che, nel 79 DC, distrusse le città romane di Ercolano, Pompei e Stabia. L’evento, venne poi descritto diversi anni dopo da Plinio il Giovane, in due lettere al suo amico Tacito, storico romano, nelle quali immortalò le gesta eroiche di suo zio, il naturalista Plinio il Vecchio.
Il 16 dicembre 1631 l’area vesuviana fu investita da un’altra grande eruzione vulcanica. Il 20% del territorio andò distrutto e 4.000 persone perirono durante l’evento. Da quell’anno il vulcano ha alternato a brevi periodi di quiescenza, fasi eruttive che lo hanno caratterizzato per ben 300 anni, fino al parossismo del 18 marzo 1944 che produsse gravi danni e distrusse gran parte dell’abitato di Massa Di Somma e di San Sebastiano al Vesuvio.
Quella che segue è la cronistoria dell’eruzione del marzo 1944.
Il 18 marzo del 1944, durante l’occupazione delle truppe alleate, iniziò l’ultima eruzione del Vesuvio, che concluse un periodo di attività cominciato nel 1914, durante il quale si erano verificate soltanto modeste eruzioni dal cratere centrale. Tra il 1914 e il 1944, le lave e le scorie prodotte dal vulcano avevano riempito il cratere, largo 720 m. e profondo 600 m., che si era formato durante la precedente eruzione del 1906. Un conetto di scorie emergeva dal cratere.
13-17 marzo 1944.
Il conetto di scorie comincia a franare e l’attività sismica diviene più intensa. Si forma e subito collassa un nuovo cono di scorie.
18 marzo 1944.
L’eruzione inizia nel pomeriggio con lanci di scorie. Alle 16.30 una colata lavica tracima dalla parte settentrionale del cratere e raggiunge la Valle dell’Inferno alle 22.30. Quasi contemporaneamente un’altra colata trabocca dalla parte meridionale del cratere. Alle 23 si ha anche una fuoriuscita di lava dalla parte occidentale del cratere: la colata costeggia il binario della funicolare e interrompe la ferrovia.
19 marzo 1944.
Alle 11 la lava si riversa lungo il Fosso della Vetrana.
20 marzo 1944.
Tra il pomeriggio e la notte, nuove colate tracimano dalla parte settentrionale del cratere. Tutta l’attività effusiva è accompagnata da tremore sismico con ampiezza crescente fino a metà della giornata.
21 marzo 1944.
La colata meridionale si arresta a una quota di circa 300 m. sul livello del mare. Nella notte, la colata settentrionale raggiunge San Sebastiano al Vesuvio e Massa di Somma e si divide in due rami che avanzano in direzione di Cercola, da cui in serata distano circa 1,5 km. Massa di Somma e San Sebastiano al Vesuvio vengono evacuati e i 10.000 abitanti trasferiti a Portici. Intorno alle 17, iniziano a formarsi spettacolari fontane di lava, l’ultima delle quali dura circa 5 ore e raggiunge un’altezza di quasi 1000 metri. Frammenti di lava e ceneri spostati dai venti in quota, si depositano sulle aree sud-orientali del vulcano, tra Angri e Pagani. I frammenti più piccoli raggiungono distanze di oltre 200 km. verso sud-est. Scorie fino a un chilogrammo di peso raggiungono l’abitato di Poggiomarino, a circa 11 km. dal cratere. Grandi quantità di scorie ancora calde si accumulano sui fianchi del Gran Cono. Continua il tremore sismico, con massimi di ampiezza in coincidenza con l’emissione delle fontane di lava.
22 marzo 1944.
Verso le 13 l’eruzione raggiunge la massima intensità. Una colonna di gas e cenere sale fino a un’altezza di 6 km circa. La parte alta della colonna viene spinta dal vento verso sud-est, cenere e scorie cadono sui versanti sud-orientali del vulcano. Parziali collassi della colonna eruttiva formano piccoli flussi piroclastici che scorrono lungo i fianchi del cono. Un intenso tremore sismico accompagna tutta questa fase, durante la quale il cratere si allarga progressivamente.
23 marzo 1944.
Una serie di esplosioni sono causate dall’ingresso di acqua nel condotto vulcanico e si verificano sciami di terremoti. Le esplosioni generano colonne di cenere, che vengono spinte dal vento verso sud-ovest, e piccoli flussi piroclastici scorrono lungo i fianchi del cono.
29 marzo 1944.
L’eruzione termina. La morfologia dell’area sommitale del cono risulta profondamente modificata con una nuova grande depressione craterica, la stessa visibile oggi.
Popolazioni vulcaniche per una terra vulcanica.
L’eruzione del 1944, benché di energia moderata, causò la morte di alcune decine di persone per il crollo dei tetti e determinò gravi danni a San Sebastiano al Vesuvio ed a Massa di Somma. Tuttavia con forza e determinazione le popolazioni vesuviane hanno saputo ricostruire quello che il vulcano ha distrutto, spinte da un fortissimo legame di sangue con la propria terra.
Oggi, con un nuovo programma urbanistico varato dalla Regione Campania, si sta cercando di dimostrare che, vivere alle falde di uno dei vulcani più pericolosi del mondo, è possibile. Trasformando il rischio in una risorsa: conoscere il Vesuvio, le vocazioni del territorio, della sua storia, della sua bellezza naturalistica, rispettando, valorizzando e recuperando le risorse territoriali:
un’impresa improba per tutti, ma non per le donne e gli uomini che vivono il Vesuvio.
Redazione La napoletanità è uno stato dell’anima, un modo di intendere la vita, di ricordare, di amare, un’attitudine allo stare al mondo in modo diverso dagli altri. La napoletanità non è un pregio e non è un difetto: è essere “diversi” dagli altri, in tutto. Ecco noi ci sentiamo così. (definizione liberamente tratta da uno scritto di: Valentino Di Giacomo napoletano, classe 1982, redattore del quotidiano Il Mattino di Napoli) Leggi altri articoli dello stesso autore… |
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