Eduardo De Filippo, noto semplicemente come Eduardo, trascende il ruolo di puro artista per diventare un simbolo vivente del teatro napoletano, italiano ed internazionale. La sua arte, unica e inconfondibile, si intreccia con la vita quotidiana, esplorando le sfumature dell’animo umano con sensibilità e maestria. La carriera di Eduardo ha inizio nelle atmosfere vibranti di Napoli, dove i vicoli e le piazze diventano la prima scuola del suo talento artistico.
Sommario
Chi è stato e chi è Eduardo oggi
Eduardo non è stato solo un attore, ma anche un regista, un drammaturgo e scrittore, dimostrando un’incredibile versatilità. Le sue rappresentazioni rappresentano lo specchio della società napoletana, con i suoi contrasti, le sue passioni e le sue contraddizioni. Veri e propri capolavori che trascendono il tempo ed il luogo, diventando un patrimonio universale.
Citiamo solo due tra le sue opere più famose, “Filumena Marturano” una storia che intreccia amore, lotta e redenzione, evidenziando la complessità dei legami umani e “Natale in casa Cupiello” che rappresenta una sottile e profonda analisi delle dinamiche familiari, drammi nei quali Eduardo ha saputo rinnovare il linguaggio teatrale, arricchendolo di innovazioni, pur rimanendo profondamente radicato nella tradizione culturale napoletana.
Ma la versatilità ed il talento di Eduardo non si è limitato soltanto al teatro. Nel mondo del cinema, ha dimostrato una notevole capacità di adattamento e di espressione artistica e la sua influenza nel teatro e nella cultura italiana ed internazionale è immensa. Le sue opere continuano a vivere, ispirando nuove generazioni di artisti e appassionati.
In conclusione, Eduardo De Filippo è stato un narratore dell’anima ed un ambasciatore della cultura ed emerge come un gigante nella storia del teatro, un narratore di storie universali che ha saputo catturare con maestria le sfaccettature dell’anima umana e della realtà napoletana.
Attraverso un’intervista immaginaria a questo gigante della scena teatrale e cinematografica, cercheremo di esplorare non solo il suo genio artistico ma anche le sue riflessioni sul mondo, sul teatro e sulla vita, offrendo così un omaggio a uno degli artisti più influenti e amati del Novecento italiano.
L’intervista
La prima domanda è d’obbligo: in che misura la sua infanzia napoletana ha influenzato la sua carriera artistica?
“La mia infanzia a Napoli è stata fondamentale. Ho respirato la vita di strada, le tradizioni, i racconti popolari. Napoli è una città di contrasti, di passioni vivaci e profonde malinconie. Questa dualità si riflette nel mio teatro, dove il dramma e la commedia si intrecciano costantemente. La mia arte è un tributo a Napoli, ai suoi colori, ai suoi sapori, ai suoi suoni, ma anche alle sue ombre. Sono cresciuto ascoltando le storie dei vicini, osservando le dinamiche familiari, capendo le sfumature della vita napoletana, e tutto ciò ha dato vita ai personaggi che ho creato.”.
Qual è stato il momento decisivo che l’ha spinta verso il teatro?
“Non c’è stato un momento preciso, è stato più un percorso graduale. Crescendo in una famiglia di artisti, il teatro era sempre presente. Mio padre, Eduardo Scarpetta, era un grande attore e drammaturgo, e da lui ho ereditato l’amore per il palcoscenico. Ma forse, la vera svolta è stata quando ho iniziato a scrivere ed a mettere in scena le mie opere. Lì ho capito che il teatro era il mio destino, il mio modo di comunicare, di esprimere la mia visione del mondo.”.
Crede che il teatro napoletano abbia caratteristiche uniche rispetto ad altre tradizioni teatrali?
“Assolutamente sì. Il teatro napoletano ha una sua specificità, un’anima che rispecchia la cultura e la storia della città. È un teatro che nasce dalla strada, che si alimenta delle storie del popolo. È una commistione di tragedia e commedia, dove il riso e il pianto si mescolano in un equilibrio precario. È un teatro che parla diretto al cuore, che non teme di mostrare la crudezza della vita, ma che sa anche elevarsi a momenti di pura poesia. La lingua, poi, il napoletano, è un elemento chiave, ricco di sfumature, di espressività, un vero e proprio strumento musicale.”.
Come ha equilibrato il suo ruolo di attore con quello di drammaturgo?
“È stata una bella sfida, ma anche una fortuna. Essere sia attore che drammaturgo mi ha permesso di avere un controllo completo sulle mie opere. Da attore, ho potuto sperimentare direttamente sul palco l’efficacia dei dialoghi, la forza dei personaggi. Come drammaturgo, ho potuto plasmare le storie, i personaggi, i dialoghi secondo la mia visione. Questa doppia natura mi ha dato una profonda comprensione del teatro, permettendomi di esplorare e innovare, mantenendo sempre un legame con la tradizione.”.
Qual è stata la sua fonte di ispirazione principale per “Filumena Marturano”?
“Filumena Marturano” è un omaggio alle donne forti, determinate, quelle donne che ho conosciuto nella mia vita, soprattutto a Napoli. Filumena è un personaggio che incarna la forza, la dignità, l’astuzia, ma anche la capacità di amare profondamente. Mi sono ispirato alle storie reali, alle lotte delle donne per l’affermazione dei loro diritti, per il riconoscimento della loro identità. Quest’opera vuole essere una celebrazione della figura femminile, del suo ruolo cruciale nella famiglia e nella società.”.
C’è un messaggio specifico che ha voluto trasmettere in ‘Natale in casa Cupiello’?
“Natale in casa Cupiello” è una riflessione sulla famiglia, sulle tradizioni, sui legami che ci uniscono ma che a volte ci soffocano. Volevo mostrare come le dinamiche familiari possano essere complesse, come i ruoli e le aspettative possano creare conflitti e incomprensioni. Ma è anche un invito a guardare oltre, a riconoscere ed apprezzare l’amore, il sacrificio, la dedizione che si nascondono dietro le piccole ritualità quotidiane. È un invito a non perdere mai la speranza, a cercare di comprendere e accettare gli altri per quello che sono.”.
Come definirebbe il rapporto tra il teatro e la vita quotidiana?
“Il teatro è un riflesso della vita, un modo per esplorare e comprendere la realtà. Per me, il teatro è vita e la vita è teatro. Attraverso il palcoscenico, posso indagare le emozioni, le relazioni, i conflitti, le gioie e le sofferenze che caratterizzano l’esistenza umana. Il teatro è uno strumento potente per esprimere verità profonde, per mettere in scena le dinamiche sociali, per stimolare riflessioni e dialoghi. È un ponte tra il mondo interno e quello esterno, un luogo dove l’immaginazione incontra la realtà.”.
Maestro, ha mai sentito il peso della responsabilità nel rappresentare la cultura napoletana?
“Sì, ho sempre sentito una grande responsabilità nel rappresentare la mia città e la sua cultura. Napoli è una realtà complessa, ricca di storia, di arte, di tradizioni, ma anche di stereotipi e pregiudizi. Ho cercato di essere un ambasciatore autentico, di mostrare il vero volto di Napoli, con le sue luci e le sue ombre. Il mio obiettivo è stato quello di raccontare storie che fossero veritiere, che potessero toccare le corde dell’animo umano, senza cadere nella caricatura o nella banalizzazione.”.
Crede che il tuo lavoro abbia contribuito a cambiare la percezione del teatro popolare?
“Spero di sì. Il mio lavoro ha sempre avuto l’intento di elevare il teatro popolare, di dimostrare che può essere profondo, intellettuale, emotivamente ricco. Il teatro popolare non deve essere considerato un genere minore, ma un’espressione artistica valida e potente. Ho cercato di mostrare che il teatro popolare può trattare temi universali, può parlare a tutti, indipendentemente dal loro retroterra culturale o sociale. Credo che il teatro debba essere accessibile a tutti, uno spazio di condivisione, di crescita, di scoperta.”.
Qual è stata la sua sfida più grande nel passaggio dal teatro al cinema?
“Passare dal teatro al cinema è stata una sfida affascinante. Nel cinema, il linguaggio è diverso, più intimo, più concentrato sui dettagli. La sfida più grande è stata quella di adattare il mio stile, di trovare il modo di esprimere le emozioni e le storie in un formato diverso. Ho dovuto imparare a lavorare con la macchina da presa, a sfruttare le possibilità offerte dal montaggio, dalla fotografia, dal sonoro. Ma questa esperienza mi ha anche arricchito, mi ha aperto nuovi orizzonti artistici, mi ha permesso di esplorare nuove forme di narrazione.”.
Come pensa che il teatro possa evolversi nel futuro?
“Il teatro è come un organismo vivente; muta e si adatta con il tempo. Credo che nel futuro il teatro continuerà a evolversi, abbracciando nuove tecnologie, nuove forme narrative, e nuovi modi di coinvolgere il pubblico. Tuttavia, la sua essenza rimarrà immutata: il teatro è e resterà un luogo di incontro, di condivisione, di riflessione. Si evolveranno le forme, ma il cuore del teatro, quello che batte nella relazione tra la scena ed il pubblico, quello resterà sempre lo stesso. Il teatro continuerà ad essere uno specchio dei tempi, un luogo dove la società può vedere riflessa se stessa, con tutte le sue contraddizioni e le sue bellezze.
C’è un’opera che avrebbe voluto scrivere o interpretare ma non ne ha mai avuto l’occasione?
“Ho avuto la fortuna di scrivere e interpretare molte opere che sentivo profondamente mie, ma una parte di me avrebbe voluto cimentarsi con i grandi classici, come Shakespeare o Molière. Mi sarebbe piaciuto portare sul palcoscenico la mia interpretazione di personaggi come Amleto o Don Giovanni, esplorare quelle profondità psicologiche e quelle sfumature drammatiche. Tuttavia, ho sempre sentito una forte connessione con le storie e i personaggi che parlavano della mia terra, del mio popolo. Questo è stato il mio mondo, ed in esso ho trovato una fonte inesauribile di ispirazione.”.
Qual è la lezione più importante che ha imparato nella sua carriera?
“La lezione più importante che ho imparato è che l’arte richiede onestà e autenticità. Un artista deve essere sincero con se stesso e con il suo pubblico. Non bisogna mai scendere a compromessi sulla verità che si vuole comunicare. Nel teatro, come nella vita, l’integrità è fondamentale. Ogni volta che salivo sul palco, cercavo di dare il meglio di me stesso, di essere vero, sia nei momenti comici che in quelli tragici. L’arte è un dono, e come tale va trattato con rispetto e dedizione.”.
Quali sono state le sue influenze artistiche principali?
“Le mie influenze artistiche sono state molteplici e variegate. Da un lato, c’era il ricco patrimonio del teatro napoletano, con la sua tradizione di commedia e dramma. Mio padre, Eduardo Scarpetta, che è stato una figura chiave nel mio percorso artistico. D’altra parte, ho sempre ammirato i grandi drammaturghi come Pirandello, Shakespeare, o Ibsen, per la loro capacità di esplorare la psiche umana. La letteratura, la poesia, ed il cinema hanno avuto anche loro un ruolo importante nel mio sviluppo artistico. La vita stessa, con le sue gioie e dolori, è stata la mia più grande maestra.”.
Ha mai avuto dubbi o incertezze riguardo al suo percorso artistico?
“Naturalmente, come ogni artista, ho avuto i miei momenti di dubbio ed incertezza, le mie esitazioni. Ci sono stati periodi difficili, soprattutto durante gli anni della guerra e del dopoguerra, quando il futuro del teatro e dell’arte in generale sembrava incerto. Ma non ho mai smesso di credere nel valore e nella potenza del teatro. Anche nei momenti di scoraggiamento, ho sempre trovato la forza di andare avanti, di continuare a scrivere, a recitare, a raccontare storie. Il teatro è stata la mia vita, e non ho mai realmente considerato l’idea di abbandonarlo.”.
Secondo lei, qual è l’elemento più importante in una rappresentazione teatrale?
“L’elemento più importante in una rappresentazione teatrale è la verità emotiva. Non importa quanto sia elaborata la scenografia, quanto raffinati siano i costumi o quanto brillante sia la recitazione. Se manca la verità, tutto il resto perde significato. Il pubblico deve credere in ciò che vede sul palco, deve sentirsi coinvolto, emozionato, toccato. Il teatro è comunicazione, è condivisione di emozioni, ed è fondamentale che l’attore sia in grado di trasmettere queste emozioni in modo autentico.”.
C’è stato un momento nella sua carriera in cui hai pensato di cambiare direzione?
“Ci sono stati momenti in cui ho esplorato nuove strade, come il mio lavoro nel cinema, ma non ho mai pensato seriamente di cambiare direzione. Il teatro è sempre stato il mio primo amore, il luogo dove mi sentivo più a mio agio, dove potevo esprimere pienamente la mia creatività. Ho sempre sentito che avevo ancora molto da dire attraverso il teatro, molte storie da raccontare, molte emozioni da esplorare. La mia curiosità e la mia passione per l’arte teatrale hanno sempre prevalso su qualsiasi tentazione di cambiare completamente percorso.”.
Come ha gestito il successo e la fama che hanno accompagnato la sua carriera?
“Il successo e la fama sono stati, in un certo senso, compagni di viaggio inaspettati. Ho sempre cercato di rimanere fedele a me stesso ed ai miei principi, senza lasciarmi corrompere dalle lusinghe della celebrità. Il mio obiettivo è sempre stato quello di fare buon teatro, di essere un artista onesto e sincero. Ho cercato di mantenere un legame stretto con il mio pubblico, di rimanere radicato nella mia comunità. La fama può essere un’arma a doppio taglio, ed ho sempre cercato di affrontarla con umiltà e gratitudine.”.
Qual è il suo processo creativo nella scrittura di una nuova opera?
“Il mio processo creativo è sempre iniziato dall’osservazione della realtà, con l’ascolto delle storie della gente. Ogni opera nasce da un’idea, da un’immagine, da un dialogo che mi ha colpito. Da lì iniziava un lungo lavoro di riflessione, di scrittura, di revisione. Scrivevo e riscrivevo, esploravo i personaggi, la loro psicologia, le loro relazioni. Cercavo sempre di trovare un equilibrio tra la narrazione ed i dialoghi, tra il dramma e la commedia. Un processo lungo ed a volte faticoso, ma anche incredibilmente gratificante.”.
C’è un messaggio universale che ritiene sia presente in tutte le sue opere?
“Se c’è un messaggio universale nelle mie opere, è quello della complessità dell’animo umano. Ho sempre cercato di mostrare le persone nella loro interezza, con le loro virtù ed i loro difetti. Le mie storie parlano di amore, di lotta, di speranza, di rassegnazione, di gioia e di dolore. Il messaggio è che, nonostante le nostre imperfezioni, tutti abbiamo la capacità di amare, di perdonare, di cambiare. Credo che il teatro debba essere uno specchio in cui possiamo riconoscerci, rifletterci, e magari, trovare la forza di essere migliori.”.
Come ha mantenuto l’autenticità del tuo stile nel corso degli anni?
“La mia autenticità derivava dalla fedeltà alle mie radici ed alla mia visione del mondo. Ho sempre cercato di rimanere vero a me stesso, ai miei valori, al mio modo di vedere la vita. Il teatro è stato il mio strumento per esprimere questa visione. Non ho mai cercato di seguire le mode o di adattarmi ai gusti del momento. Ho sempre creduto che l’arte debba essere sincera, che debba rispecchiare la realtà ed i sentimenti dell’artista. Questo approccio mi ha permesso di mantenere uno stile unico e riconoscibile, nonostante le evoluzioni ed i cambiamenti nel corso degli anni.”.
Ha mai pensato di sperimentare generi teatrali completamente diversi?
“Sono sempre stato affascinato dalla varietà e dalla ricchezza del teatro. Anche se il mio lavoro è stato profondamente radicato nel teatro napoletano, ho sempre avuto la curiosità di esplorare altri generi. Tuttavia, ho sempre sentito che il mio contributo più significativo poteva essere nel campo che conoscevo meglio. Il teatro popolare, con le sue sfumature, le sue tradizioni, era il terreno dove mi sentivo più a mio agio e dove pensavo di poter dare il mio meglio. Ma questa scelta non è mai stata un limite, piuttosto un modo per approfondire e perfezionare il mio lavoro.”.
Come valuta l’importanza dell’umorismo nelle sue opere?
“L’umorismo è un elemento fondamentale nel mio teatro. Non è solo un modo per intrattenere, ma anche un potente strumento di critica sociale e di riflessione. L’umorismo può essere un modo per affrontare temi difficili, per smussare gli angoli della realtà, per far riflettere il pubblico su questioni importanti. Nel mio teatro, l’umorismo non è mai fine a se stesso, ma è sempre intrecciato con la trama, con i personaggi, con i temi trattati. È un modo per rendere le storie più accessibili, per creare un legame con il pubblico, per aprire, con un sorriso, una finestra sulla vita.”.
Qual è stata la sua reazione di fronte alle critiche ed alle recensioni negative?
“Le critiche e le recensioni negative sono parte del mestiere. Ovviamente, non sono mai piacevoli, ma ho sempre cercato di affrontarle con spirito costruttivo. Ogni critica può essere un’opportunità per crescere, per riflettere sul proprio lavoro, per migliorare. Certo, ci sono state volte in cui le critiche mi sembravano ingiuste o mi ferivano, ma ho sempre cercato di mantenere un atteggiamento equilibrato. La cosa più importante per me è stato sempre il rapporto con il mio pubblico, la loro reazione, il loro affetto. Se il pubblico era con me, le critiche negative diventavano meno importanti.”.
Crede che il suo retroterra napoletano abbia influenzato la sua visione del mondo?
“Il mio background napoletano ha avuto un’influenza profonda sulla mia visione del mondo. Napoli è una città di grande bellezza e di grandi contraddizioni. È un luogo dove la gioia e la sofferenza convivono, dove la vita viene vissuta con intensità. Questa realtà mi ha insegnato a guardare il mondo con occhi aperti, a riconoscere la complessità delle relazioni umane, a comprendere la sofferenza e la capacità dei napoletani ad affrontare e superare gli eventi traumatici o i periodi di difficoltà. La mia arte è stata un riflesso di questa visione, un tentativo di raccontare storie che fossero vere, che parlassero al cuore delle persone, che riflettessero la realtà in tutte le sue sfaccettature.
Qual è stato il suo rapporto con gli altri artisti suoi contemporanei?
“Ho sempre avuto un grande rispetto per gli artisti miei contemporanei, sia nel campo del teatrale che in altri ambiti artistici. Ho sempre cercato di mantenere un dialogo aperto con loro, di condividere idee, di apprendere dai loro lavori. Ho sempre creduto fermamente che l’arte è un dialogo continuo, un flusso di ispirazione reciproca. Anche se a volte c’erano divergenze di opinioni o di stili, ho sempre cercato di mantenere un atteggiamento di rispetto e di curiosità. L’arte si nutre della diversità, ed ogni artista contribuisce con la sua voce unica a questo ricco mosaico.”.
Come ha affrontato i temi sociali e politici nelle sue opere?
“I temi sociali e politici sono sempre stati presenti nelle mie opere, anche se spesso in modo sottile. Ho cercato di affrontarli attraverso le storie personali dei personaggi, mostrando come le questioni più ampie influenzino la vita quotidiana delle persone. Il mio teatro è uno specchio della società, un luogo dove interrogare e riflettere su temi come la povertà, l’ingiustizia, l’alienazione. Tuttavia, ho sempre cercato di mantenere un equilibrio, di non trasformare le mie opere in semplici pamphlet politici. Credo che l’arte debba innanzitutto parlare al cuore, deve emozionare, deve far pensare, non essere solo un veicolo per un messaggio.”.
C’è stato un personaggio che ha trovato particolarmente difficile da interpretare?
“Ogni personaggio porta con sé delle sfide, ma uno dei più complessi da interpretare è stato Don Domenico Soriano in “Filumena Marturano”. Questo personaggio è un intricato mosaico di sentimenti e conflitti interni. Interpretare Domenico Soriano ha richiesto un grande lavoro di introspezione per cogliere la complessità delle sue emozioni e dei suoi pensieri. È stato un ruolo che mi ha sfidato ad esplorare la profondità e la complessità delle relazioni umane, in particolare la dinamica tra amore, potere e redenzione. L’interpretazione di questo personaggio ha rappresentato per me un’occasione per riflettere sulla natura umana e sulla sua capacità di cambiamento e crescita.
Qual è il suo punto di vista sull’arte come forma di espressione sociale?
“L’arte è uno dei mezzi più potenti di espressione sociale. È un linguaggio universale, che può comunicare al di là delle barriere culturali e linguistiche. Attraverso l’arte, possiamo parlare di temi importanti, possiamo provocare riflessioni, possiamo stimolare il cambiamento. L’arte ha il potere di sensibilizzare, di educare, di unire. Nel mio teatro, ho sempre cercato di utilizzare questo potere in modo responsabile, di raccontare storie che potessero fare la differenza, che potessero lasciare un segno nel cuore e nella mente del pubblico.”.
Ha consigli per i giovani artisti che, oggi, aspirano ad entrare nel mondo del teatro?
“Ai giovani artisti dico: credete nella vostra arte, lavorate con passione e dedizione. Il teatro è un mestiere difficile, pieno di incertezze, ma anche incredibilmente gratificante. Non abbiate paura di esprimere la vostra voce, di raccontare le vostre storie. Siate curiosi, esplorate diversi stili, diversi generi. Ma soprattutto, siate autentici, siate fedeli a voi stessi ed alla vostra visione. L’arte del teatro ha bisogno di nuove energie, di nuove idee, di nuovi sogni. Siate coraggiosi, il palcoscenico è un luogo di libertà, un luogo dove tutto è possibile.
Ringraziamenti al maestro Eduardo De Filippo
Nell’esprimere il nostro più sincero ringraziamento per averci concesso un po’ suo tempo prezioso e per aver arricchito la nostra comunità con la sua saggezza ed il suo talento, restiamo in attesa di ritrovare l’occasione per una nuova e stimolante discussione.
Redazione La napoletanità è uno stato dell’anima, un modo di intendere la vita, di ricordare, di amare, un’attitudine allo stare al mondo in modo diverso dagli altri. La napoletanità non è un pregio e non è un difetto: è essere “diversi” dagli altri, in tutto. Ecco noi ci sentiamo così. (definizione liberamente tratta da uno scritto di: Valentino Di Giacomo napoletano, classe 1982, redattore del quotidiano Il Mattino di Napoli) Leggi altri articoli dello stesso autore… |
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