Breve presentazione del Commendator Peppino De Filippo
Nel vibrante tessuto culturale della Napoli del 1903, si accendeva la scintilla di un genio destinato a illuminare il mondo del teatro e del cinema, la stella di Peppino De Filippo. Come un alchimista che trasforma il piombo in oro, Peppino iniziò a forgiare la sua straordinaria carriera, amalgamando talento innato e passione ardente. Ma, chi era questo artista che ha saputo elevarsi a icona dell’arte scenica?
Per Peppino, il teatro era un regno incantato, un luogo sacro dove ogni battuta, ogni movimento, si trasformava in un incantesimo capace di toccare l’anima. Cresciuto in una famiglia dove l’arte scorreva nelle vene come un fiume impetuoso, Peppino, insieme ai fratelli Eduardo e Titina, intessé un mosaico di storie e performance che ancora oggi risplende nel firmamento culturale italiano.
Sommario
Peppino De Filippo era come un camaleonte sul palcoscenico, ogni suo ruolo era una metamorfosi, il suo umorismo era una luce che brillava anche nell’oscurità della tristezza, ogni performance era un viaggio attraverso gli abissi dell’anima e nei suoi personaggi echeggiava l’essenza stessa dell’esistenza.
Ancor oggi Peppino De Filippo continua a “guidare” gli artisti lungo il sentiero dell’espressione genuina e della creatività senza confini ed ha lasciato un’eredità che non è solo nelle opere che ha creato, ma nel modo in cui ha plasmato il teatro e il cinema, influenzando generazioni di artisti.
Peppino De Filippo non fu semplicemente un artista, ma un tessitore di sogni, un narratore di storie, la sua arte era un ponte dorato che collegava il cuore pulsante della cultura napoletana con l’universale desiderio di espressione emotiva e artistica. Il suo non è un nome del passato, ma una presenza viva, un’ispirazione continua per chi cerca nell’arte la verità, la bellezza, la profondità. La sua eredità è un giardino rigoglioso dove ogni amante dell’arte può trovare nutrimento e ispirazione. Peppino, un artista senza tempo, un sognatore che ha trasceso i confini del suo tempo per entrare nell’eternità.
Cominciamo l’intervista all’attore e regista Peppino De Filippo
Prima di cominciare questa “intervista impossibile” vorremmo esordire con il ringraziarla affettuosamente per averci concesso un poco del suo prezioso tempo. Ed ora partiamo subito con la prima domanda:
Quando e come, nella sua infanzia, ha scoperto la passione per il teatro?
“La mia passione per il teatro è nata quasi naturalmente, essendo cresciuto in una famiglia dove l’arte era il pane quotidiano. Mio padre, Eduardo Scarpetta, era un celebre attore e autore teatrale. Da bambino, passavo ore ad osservare le prove, ammirando gli attori che trasformavano le parole in emozioni palpabili. Il teatro per me era un mondo incantato, un rifugio dove potevo esprimere me stesso liberamente. Ogni volta che salivo sul palco, anche solo per piccoli ruoli, sentivo un senso di appartenenza, di essere esattamente dove avrei dovuto essere. Era come se ogni fibra del mio essere vibrasse in armonia con le luci, i suoni, le voci del teatro.”
Qual è stato il momento decisivo che l’ha spinta a seguire la carriera artistica?
“Il momento decisivo fu sicuramente l’incontro artistico con il mio fratello Eduardo durante una nostra rappresentazione teatrale. Quel giorno, interpretando un piccolo ruolo, sentii una scintilla dentro di me, un fuoco che non si è mai più spento. La complicità artistica e umana che si creò tra me e Eduardo, e poi con nostra sorella Titina, fu un catalizzatore potente. Comprendemmo che insieme potevamo creare qualcosa di unico, che andava oltre la semplice recitazione. Fu un connubio di talenti, passioni e visioni che segnò il vero inizio del mio viaggio nel mondo dell’arte.”
Ritiene che la famiglia abbia influenzato significativamente il suo percorso artistico?
“Assolutamente sì! La mia famiglia non solo ha influenzato il mio percorso, ma lo ha plasmato in modi che non avrei mai immaginato. Crescendo in una famiglia di artisti, l’arte era il nostro linguaggio comune, il nostro modo di connetterci e di esprimerci. Mio padre, Eduardo Scarpetta, era una figura dominante nel teatro napoletano, ed i suoi insegnamenti, sia diretti che indiretti, hanno avuto un impatto profondo su di me. Inoltre, lavorare a stretto contatto con Eduardo e Titina ha ulteriormente affinato la mia arte, spingendomi a esplorare nuovi orizzonti creativi.”
Qual era la sua fonte di ispirazione principale quando scriveva le tue opere?
“La mia principale fonte di ispirazione era la vita stessa, con tutte le sue sfumature, le sue gioie e le sue sofferenze. Osservavo attentamente le persone, le loro storie, i loro comportamenti, e trovavo in loro un pozzo inesauribile di materiale artistico. Il teatro napoletano ha sempre avuto una forte connessione con la realtà quotidiana, ed io ho cercato di mantenere questa tradizione, arricchendola con la mia visione personale. Inoltre, ero profondamente influenzato dal lavoro di mio padre e dai classici del teatro, che mi hanno fornito un solido fondamento su cui costruire la mia creatività.”
Come definirebbe il suo stile unico nel teatro e nel cinema?
“Il mio stile può essere descritto come un perfetto equilibrio tra commedia e dramma, tra realismo e poesia. Nel mio lavoro, ho sempre cercato di catturare l’essenza della vita napoletana, con tutte le sue contraddizioni e bellezze. La mia arte è un mosaico di emozioni, dove il riso e il pianto si intrecciano in un dialogo continuo. Nel cinema, ho cercato di portare questa stessa sensibilità, adattando il mio stile alle esigenze di un mezzo diverso, ma sempre con l’obiettivo di toccare, in modo autentico, il cuore dello spettatore.”
Ha mai sentito il peso della fama e del successo? E se si, in che modo?
“La fama e il successo sono due facce della stessa medaglia. Da un lato, sono gratificanti e confermano il valore del tuo lavoro. Dall’altro, possono essere opprimenti, creando aspettative che a volte sono difficili da gestire. Personalmente, ho sempre cercato di mantenere un equilibrio, ricordando a me stesso che l’arte viene prima di tutto. La fama è effimera, ma ciò che rimane è l’impatto che il tuo lavoro ha avuto sulle persone. Questo pensiero mi ha sempre aiutato a restare concentrato sul mio vero obiettivo: creare arte che parlasse all’anima.”
Credits: di Sconosciuto – Italian magazine Radiocorriere, no. 32, 1959, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=102254204
Come ha bilanciato umorismo e dramma nelle sue performance artistiche?
“Bilanciare umorismo e dramma è un’arte delicata, quasi come camminare su un filo sottile. Il segreto sta nel trovare quella verità umana che risiede sia nella risata, sia nel pianto. Ho sempre cercato di dare ai miei personaggi una profondità che andasse oltre la semplice caricatura o la tragedia. In ogni situazione comica, c’è un sottofondo di serietà ed in ogni momento drammatico, un barlume di ironia. È questo gioco di equilibri che rende la vita, e quindi l’arte, ricca e sfaccettata.”
Qual è stata la sua più grande sfida come regista?
“Come regista, la mia più grande sfida è stata quella di trasferire la mia visione artistica sul palco o sullo schermo, mantenendo al contempo un dialogo aperto con gli attori e con gli altri membri della compagnia e dello staff. Il regista è un po’ come un direttore d’orchestra: deve armonizzare diverse voci e talenti in una sola sinfonia coesa. La sfida sta nel rispettare l’individualità di ciascun artista, pur guidandoli verso una visione comune, un processo che richiede una combinazione di sensibilità artistica, competenza tecnica e capacità di leadership, tutte qualità che ho cercato di coltivare nel corso della mia carriera.”
Come ha visto cambiare il teatro italiano nel corso della sua carriera?
“Durante la mia carriera, ho assistito a profondi cambiamenti nel teatro italiano, dall’epoca del teatro di varietà fino all’avvento del cinema e della televisione, il modo in cui le storie venivano raccontate e percepite dal pubblico è drasticamente mutato. In particolare, dopo la Seconda Guerra Mondiale, c’è stata una forte spinta verso un teatro più impegnato socialmente, rispecchiando le trasformazioni culturali e politiche del paese. Nonostante questi cambiamenti, ho sempre creduto che il cuore del teatro rimanga l’abilità di raccontare storie che risuonino con l’umanità di ciascuno di noi, indipendentemente dal tempo e dallo spazio.”
Crede che il teatro abbia il potere di cambiare la società?
“Certamente! Sono fermamente convinto che il teatro abbia non solo il potere, ma anche il dovere di influenzare e riflettere la società. Il teatro è uno specchio in cui la società può osservare se stessa, riconoscere le sue virtù e le sue debolezze. Attraverso le storie che raccontiamo, possiamo ispirare, educare, provocare ed, a volte, persino incitare al cambiamento. Il teatro, nella sua essenza più pura, è un dialogo tra l’artista ed il suo tempo, un dialogo che può suscitare riflessioni e, in ultima analisi, promuovere il progresso sociale.”
Qual è il suo punto di vista sull’arte moderna rispetto al teatro classico?
“L’arte moderna ed il teatro classico sono due facce della stessa medaglia artistica, entrambi hanno il loro valore unico e irripetibile. Mentre il teatro classico si basa su una struttura e una tradizione consolidate, offrendo un senso di continuità e di connessione con il passato, l’arte moderna spinge più in avanti i confini dell’espressione e dell’innovazione. Personalmente, ho sempre cercato di attingere dal meglio di entrambi i mondi, integrando la ricchezza del teatro classico con la freschezza e l’audacia dell’arte moderna.”
C’è un giovane artista o una giovane artista che vede come suo successore?
“Nel corso degli anni, ho avuto il piacere di incontrare molti giovani talenti nel mondo del teatro e del cinema. È difficile indicarne uno in particolare come mio successore, perché ogni artista ha la sua voce unica ed il suo percorso individuale. Tuttavia, ho sempre ammirato la passione e l’impegno dei giovani artisti che cercano di portare innovazione rispettando la tradizione. Il mio augurio è che ognuno di loro possa trovare il proprio cammino e continuare ad arricchire il panorama artistico con la loro creatività e originalità.”
Ha mai rifiutato un ruolo che poi ha rimpianto?
“Nella mia carriera, ho rifiutato alcuni ruoli, ma non posso dire di aver mai veramente rimpianto queste decisioni. Ogni scelta fatta è stata dettata da una sincera valutazione del momento, basata su ciò che sentivo giusto e appropriato per me come artista. Credo fermamente che ogni percorso artistico sia unico e che le scelte fatte, sia quelle di accettare che di rifiutare, contribuiscano a definire l’identità e l’integrità di un artista.”
Qual è il segreto per mantenere viva la passione per l’arte?
“Il segreto per mantenere viva la passione per l’arte è rimanere sempre curiosi, aperti e sensibili alle esperienze della vita. L’arte si nutre di vita, di emozioni, di osservazioni e di incontri. Per me, l’ispirazione veniva dal quotidiano, dalle persone che incontravo, dalle storie che osservavo. Inoltre, è fondamentale continuare a sfidare se stessi, esplorare nuove idee, nuove forme, non fermarsi mai alla zona di comfort. La passione è come un fuoco che deve essere costantemente alimentato.”
Come ha affrontato le critiche nel corso della sua carriera?
“Le critiche sono una parte inevitabile della vita di un artista. Nel corso della mia carriera, ho imparato ad accoglierle come opportunità di crescita e di riflessione. È importante saper distinguere le critiche costruttive, che possono aiutarti a migliorare, dalle semplici opinioni soggettive. Ho sempre cercato di rimanere fedele alla mia visione artistica, pur essendo aperto al dialogo ed al confronto. Alla fine, l’importante è essere in pace con se stessi e con le proprie scelte artistiche.”
Qual è stato il momento più gratificante della sua vita professionale?
“Ci sono stati molti momenti gratificanti nella mia vita professionale, ma uno dei più significativi è stato quando ho visto il pubblico commuoversi e ridere durante le mie rappresentazioni. Sapere che ho potuto toccare il cuore delle persone, farle riflettere o semplicemente regalare loro un momento di evasione, è sempre stata la mia più grande soddisfazione. Questo senso di connessione con il pubblico, di condivisione di un’esperienza umana attraverso l’arte, è per me il vero segno di successo.”
C’è un’opera o un progetto che avrebbe voluto realizzare ma non ha potuto?
“Durante la mia carriera, ci sono stati progetti che avrei voluto realizzare ma che, per varie ragioni, non sono stati portati a termine. Uno dei miei sogni era quello di portare in scena alcuni classici della letteratura, interpretandoli con una chiave moderna e personale. Tuttavia, a causa di limitazioni di tempo e di risorse, questo sogno non si è mai concretizzato. Nonostante ciò, sono grato per tutte le opportunità che ho avuto e per i progetti che sono riuscito a realizzare.”
Come pensa che il suo lavoro abbia influenzato le future generazioni di attori e registi?
“Mi piace pensare che il mio lavoro abbia lasciato un’impronta nel cuore e nella mente delle future generazioni di attori e registi. Spero di aver trasmesso la passione per un teatro autentico, che parla direttamente all’anima, un teatro che unisce la tradizione con l’innovazione. Se anche solo una delle mie opere o delle mie prestazioni attoriali ha ispirato un giovane artista a perseguire la sua passione, ad esplorare nuovi orizzonti creativi, allora posso dire di aver contribuito in qualche modo al futuro dell’arte.”
Che consiglio darebbe ad un giovane attore che sta iniziando adesso?
“Ad un giovane attore che sta iniziando, direi di non smettere mai di apprendere e di osservare. Il mondo è il tuo palcoscenico, e ogni persona che incontri può insegnarti qualcosa. Studia i grandi maestri, ma non cercare di imitarli ciecamente; trova la tua voce, il tuo stile. Sii paziente e resistente, perché la strada dell’arte è piena di ostacoli, ma anche di immense soddisfazioni. Ricorda che ogni ruolo, anche il più piccolo, è un’opportunità per crescere. E, soprattutto, ama ciò che fai, perché solo l’amore per l’arte può sostenerti nei momenti difficili.”
C’è stato un momento nella sua carriera in cui ha pensato di rinunciare?
“In verità, ci sono stati momenti di scoraggiamento, momenti in cui ho messo in dubbio il mio percorso. Il mondo dell’arte può essere implacabile, e ci sono stati periodi difficili, soprattutto durante la guerra, dove il futuro sembrava incerto. Tuttavia, non ho mai seriamente considerato l’idea di rinunciare. Il teatro è stato la mia vita, la mia passione, e nonostante le difficoltà, non ho mai smesso di credere nel potere trasformativo dell’arte. In questi momenti, mi sono aggrappato ai ricordi dei successi passati ed alla speranza di quelli futuri.”
Qual è stata la sua principale fonte di motivazione nei momenti difficili?
“Nei momenti difficili, la mia principale fonte di motivazione è stata la passione per il mio lavoro e l’amore per il pubblico. Sapere che c’erano persone che apprezzavano il mio lavoro, che trovavano conforto, gioia, o anche solo un momento di evasione nelle mie opere, mi ha sempre dato la forza di andare avanti. Inoltre, ho sempre avuto un forte senso di responsabilità nei confronti della mia arte e del mio pubblico, una responsabilità che mi ha spinto a superare gli ostacoli ed a continuare a creare, nonostante tutto.”
Ha un ricordo particolarmente caro legato al teatro napoletano?
“Un ricordo che mi sta particolarmente a cuore è legato alle prime rappresentazioni con la compagnia di mio padre, Eduardo Scarpetta. Ricordo la magia di quei momenti, l’emozione di essere sul palco di fronte ad un pubblico che rispondeva con calore e affetto. Il teatro napoletano, con la sua ricchezza di tradizioni e il suo pubblico appassionato, ha sempre avuto un posto speciale nel mio cuore. Queste esperienze iniziali sono state fondamentali nella mia formazione artistica e umana, ed hanno lasciato un’impronta indelebile nel mio percorso.”
Come pensa che il suo background napoletano abbia influenzato il suo lavoro?
“Il mio retroterra napoletano ha avuto un’influenza profonda sul mio lavoro. Napoli è una città di contrasti, di grande bellezza e di enormi difficoltà, di gioia e dolore, e queste dualità si riflettono nelle mie opere. La ricchezza culturale, la vivacità del linguaggio, l’umanità delle sue storie, hanno fornito un terreno fertile per la mia creatività. Napoli mi ha insegnato a guardare la vita con occhi aperti, a catturare l’essenza dell’esistenza umana con onestà, ironia e compassione. La mia arte è stata un tributo a questa città straordinaria e alle sue persone.”
C’è una lezione che ha imparato durante la sua carriera che vorrebbe condividere qui, con noi, oggi?
“Una lezione che ho imparato nella mia carriera è che l’arte richiede dedizione, pazienza e umiltà. Non importa quanto talento uno possieda, senza un impegno costante ed il desiderio di migliorarsi, il talento da solo non è sufficiente. Inoltre, è importante ascoltare gli altri, sia il pubblico sia i colleghi. L’arte è un dialogo, non un monologo, ed ogni voce può portare qualcosa di prezioso. Infine, non bisogna mai dimenticare il motivo per cui si fa arte: per comunicare, per condividere, per toccare le vite degli altri.”
Secondo lei, qual è il ruolo dell’umorismo nella vita e nell’arte?
“L’umorismo, a mio avviso, ha un ruolo fondamentale sia nella vita sia nell’arte. È un potente strumento di comunicazione, un modo per affrontare le difficoltà della vita con leggerezza e saggezza. Nell’arte, l’umorismo può essere un mezzo per esplorare temi complessi in modo accessibile, per creare un legame con il pubblico, per abbattere le barriere. L’umorismo è anche una forma di intelligenza, una capacità di vedere il mondo da prospettive diverse, di trovare il sorriso anche nelle situazioni più difficili. È una luce che illumina le ombre dell’esistenza.”
Come ha trovato l’equilibrio tra il rispetto della tradizione e l’innovazione?
“Trovare l’equilibrio tra il rispetto della tradizione e l’innovazione della modernità è stato uno dei miei obiettivi principali come artista. Credo che sia importante onorare le radici della propria arte, mantenendo viva la connessione con il passato ed i suoi insegnamenti. Allo stesso tempo, è essenziale guardare avanti, esplorare nuove idee, nuovi linguaggi, nuove forme. Questo equilibrio si raggiunge attraverso un costante processo di apprendimento e sperimentazione, tenendo la mente aperta e il cuore radicato nelle proprie origini.”
Qual è stato il suo approccio nel trasmettere emozioni autentiche attraverso i suoi personaggi?
“Il mio approccio nel trasmettere emozioni autentiche è stato sempre quello di immergermi completamente nei miei personaggi, cercando di comprendere la loro essenza, i loro desideri, le loro paure. Ho cercato di vivere le loro storie come se fossero le mie, di sentire le loro emozioni sulla mia pelle. Questo processo richiede un’intensa introspezione ed un’empatia profonda. Inoltre, ho sempre dato grande importanza alla sincerità espressiva, alla capacità di essere veri sul palco o davanti alla macchina da presa, perché solo attraverso la verità si possono toccare veramente le corde dell’anima.”
Per finire, come vorrebbe essere ricordato nel mondo dell’arte di oggi?
“Mi piacerebbe essere ricordato come un artista che ha amato profondamente il suo lavoro, che ha dato tutto se stesso per il teatro ed il cinema. Vorrei essere ricordato per la passione, l’umanità e l’autenticità delle mie opere, per il mio contributo alla cultura napoletana ed italiana. Spero che il mio lavoro continui a vivere nelle generazioni future, ispirando nuovi artisti e nuovi talenti, portando gioia al pubblico di ogni genere ed età. Più di tutto, vorrei essere ricordato come qualcuno che ha fatto dell’arte un mezzo per esplorare, comprendere e celebrare la complessità dell’esperienza umana.”
Siamo ai saluti finali
Grazie Commentatore, e ancora grazie. Speriamo di non averle fatto perdere del tempo prezioso a causa della lunghezza dell’intervista, ma sa, il suo collaboratore Pappagone ci aveva precedentemente avvertito che tanto oggi non aveva niente da fare e pertanto… abbiamo approfittato dell’occasione per saperne il più possibile.
Redazione La napoletanità è uno stato dell’anima, un modo di intendere la vita, di ricordare, di amare, un’attitudine allo stare al mondo in modo diverso dagli altri. La napoletanità non è un pregio e non è un difetto: è essere “diversi” dagli altri, in tutto. Ecco noi ci sentiamo così. (definizione liberamente tratta da uno scritto di: Valentino Di Giacomo napoletano, classe 1982, redattore del quotidiano Il Mattino di Napoli) Leggi altri articoli dello stesso autore… |
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