Aveva i capelli bianchi fin da adolescente, un gran fungo su una faccia rotonda. Era molto miope, aveva occhi belli con lo sguardo trasognato dei miopi. Aveva il naso piccolo e la bocca grande, capricciosa. Una faccia un po’ infantile.
Questa è Elsa Morante nel ricordo di Alberto Moravia. Una vecchia bambina, dispettosa e saggia, nello sguardo orizzonti lontani e grandi sogni. E poi, la letteratura. Perché se c’è stato un grande amore nella vita di Elsa Morante, quello è stato sicuramente l’amore sconfinato e immenso per la letteratura.
Figlia di un relazione adultera e contrastata, Elsa trascorre l’infanzia tra la casa di Trastevere e quella che lei scherzosamente chiamava “casa dei discoli”, il riformatorio dove Augusto Morante, suo padre solo all’anagrafe, lavorava. Suo padre naturale, Francesco Lo Monaco, era siciliano e lavorava alle poste. Sua madre faceva la maestra, era ebrea e veniva da Modena. Il sangue misto che le scorre nelle vene è da subito richiamo insistente, imperativo coatto alla fuga. Elsa lo racconta ne L’isola di Arturo, romanzo di un realismo magico e illusorio in cui proietta tutto lo smarrimento della difficile transizione all’età adulta, che si attua appunto con una “fuga” dall’isola.
Come Arturo, Elsa va via di casa. Appena diciottenne lascia la famiglia e va a vivere da sola. Per mantenersi dà lezioni private e scrive tesi di laurea su commissione, ma i soldi non bastano a pagare gli studi di Lettere. E tuttavia Elsa non sembra averne bisogno. Tutto quello che l’università poteva insegnarle l’aveva già imparato dai libri, e per farsi compagnia scriveva. Cominciò da adolescente con filastrocche e favole per bambini, e non smise mai di scrivere per raccontare il mondo così come lo vedeva lei, viaggiatrice instancabile, eterna adolescente in fuga da tutto e da se stessa, insofferente ai legami e affamata di emozioni.
Nemmeno l’amore con Alberto Moravia, che sposò nel 1941, riuscì a metterle le catene. L’eccezionale, non il quotidiano, era la sua dimensione di vita, l’unica in cui si sentiva pienamente a suo agio. Il periodo trascorso a Fondi, dove si rifugiò insieme al marito per sottrarsi alla persecuzione nazista, fu uno dei più intensi, sia da un punto di vista personale che nella relazione con Moravia, e uno dei più fecondi da un punto di vista letterario. È in quei giorni concitati e incerti che l’ispirazione partorisce immagini, scorci e tematiche che saranno successivamente sviluppate nei suoi romanzi, primo fra tutti La storia, in cui tornano i paesaggi di quella parte dell’Italia Meridionale e si respirano le atmosfere di piombo dell’occupazione nazista.
Il rientro a Roma è come un brusco risveglio. Elsa si accorge di non saper fare la moglie, si allontana emotivamente sempre più da Moravia. Il loro rapporto alterna fasi di intensa compenetrazione ad altre di estremo distacco. La convivenza nell’appartamento di via dell’Oca, che diventa ben presto punto di riferimento di letterati e uomini di cultura dell’epoca, non aiuta, a tratti è quasi soffocante, Elsa ha bisogno dei suoi spazi, il rapporto di coppia la asfissia. A partire dal 1948, anno di uscita del suo primo romanzo, Menzogna e sortilegio, la Morante viaggia spesso in giro per l’Europa, collaborando anche con la Rai. L’isola di Arturo, uscito nel 1957, la consacra come scrittrice di calibro internazionale, ma non basta. L’insoddisfazione perenne della sua anima nomade la spinge a cercare sempre nuove esperienze, a intraprendere nuovi viaggi. Ha una serie di relazioni extraconiugali, tra cui la breve e intensa passione con Bill Morrow, pittore emergente incontrato a New York. Il suicidio di lui la scuote profondamente e probabilmente la spinge alla separazione definitiva da Moravia (1962). La morte e la vecchiaia diventano ossessioni permanenti, da cui nemmeno i viaggi sempre più frequenti e le amicizie “colte” – tra cui Pier Paolo Pasolini – riescono a offrirle un momento di tregua.
Nel 1974 esce La Storia, suo capolavoro indiscusso che però suscita numerose critiche. Due anni dopo inizia a scrivere Aracoeli, che sarà il suo ultimo romanzo, ma una frattura del femore la costringerà a un riposo forzato che ben presto diventerà una definitiva condanna all’immobilità. È l’inizio della fine. Privata della possibilità di camminare, Elsa sente spezzarsi la sua vera natura, la sua essenza vagabonda. La stasi forzata non consente nessuna fuga. L’unica via d’uscita è il suicidio. Ci prova, Elsa, ad uccidersi, aprendo i rubinetti del gas, ma una cameriera la salva. È il 1983. Due anni dopo Elsa Morante muore nella clinica dove è stata ricoverata per sottoporsi a un’operazione. È il cuore a cedere, compassionevole, restituendo a Elsa la sua libertà. Quella di intraprendere l’ultima, definitiva fuga verso l’aldilà.
Giuliana Gugliotti Paolo Maurensig ha scritto: “Sono solo un appassionato, un melomane. La musica è la mia consolazione. Quest’arte […] assomiglia all’idea che mi sono fatto della vita”. Sostituite la parola “letteratura” alla parola “musica” e avrete una esaustiva descrizione di me. Leggi altri articoli dello stesso autore… |
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