Uno dei rischi dell’era digitale in cui viviamo è legato alla dipendenza dalla tecnologia. Strumenti e servizi utilissimi che ci semplificano la vita e, soprattutto, ci fanno risparmiare tempo, ma che alla fin fine rischiano di peggiorare la qualità della nostra memoria. I motori di ricerca, e Google in particolare, sono una di quelle tecnologie che creano dipendenza: è vero che sono comodi e immediati, ma l’effetto collaterale è la perdita della capacità del cervello umano di ritenere le informazioni.
Google, ma in buona sostanza tutti I motori di ricerca sono ormai entrati, e per taluni in modo pervasivo, nelle nostre vite: li usiamo con naturalezza e non possiamo più farne a meno. Certamente hanno creato una grande rivoluzione e ci consentono di fare cose prima inconcepibili ed effettivamente, ci hanno aperto al mondo delle informazioni della Rete.
Avere una gigantesca biblioteca a portata di click per trovare rapidamente qualsiasi informazione rilevante è certamente un fatto molto positivo. Proprio grazie ai motori di ricerca, molti di noi hanno compreso il significato operativo di serendipity: cercare qualche cosa e trovare qualcosa di diverso, ma sempre pertinente; è un’esperienza potente e talvolta molto utile che tante persone hanno scoperto proprio grazie ad essi. Per i più curiosi (e per evitarvi una immediata ricerca su Google) questa espressione – che indica il ritrovamento di qualcosa di prezioso mentre non lo si stava cercando, anzi mentre si era occupati in altro – viene dall’antico nome dell’isola di Ceylon (Serendip) dove è ambientata la fiaba di Horace Walpole (1717-1797) in cui i protagonisti scoprono continuamente cose che non stavano cercando.
Uno degli esempi più noti di serendipity è la “scoperta” dell’America da parte di Cristoforo Colombo, proprio mentre era intento alla ricerca di una rotta più veloce per arrivare alle Indie.
L’esistenza dei motori di ricerca ci ha in qualche modo aperto al mondo della conoscenza oltre la nostra conoscenza, ma possiede anche delle dimensioni problematiche che vanno conosciute per evitare di cadere nei suoi tranelli.
Almeno tre di queste dimensioni problematiche, in particolare, sono sottili e subdole e vanno padroneggiate. La prima è il meccanismo dei motori di ricerca che sceglie i risultati. È importante sapere che il motore di ricerca non ci restituisce necessariamente le ricerche più pertinenti per il nostro tipo di domande, ma tende a restituirci informazioni che sono considerate le più interessanti (e quindi pertinenti) per tutti quelli che corrispondono al nostro profilo di “cercatore” di informazioni.
E poi, chi stabilisce la pertinenza della risposta? …e secondo quali criteri quella dei motori di ricerca è la risposta più pertinente?
La seconda dimensione problematica è il cosiddetto “Effetto Google – Google Effect“. che indica la tendenza a dimenticare le informazioni e a non memorizzarle perché sappiamo che le possiamo comunque trovare facilmente in Rete. Il fatto di sapere che in qualsiasi momento è possibile consultare un motore di ricerca e ottenere la risposta spinge le persone a non memorizzare queste informazioni.
Il problema sta nel fatto che per creare o capire cose nuove dobbiamo poter “connettere i punti”, cioè dobbiamo avere a disposizione le informazioni per poterle collegare tra di loro e generare nuove intuizioni. Questo processo richiede, dunque, che i “punti” stiano nella nostra testa per essere collegati. L’utilizzo del motore di ricerca va molto bene se io devo rispondere a domande puntuali (come se stessi partecipando ad un programma di “quiz”) ma non quando devo capire fenomeni o avere nuovi insight (la capacità di vedere dentro una situazione, o dentro sé stessi) per creare una visione molto più ampia. In sostanza, la memoria umana si sta adattando al fatto che esiste una “memoria esterna” a cui poter accedere, a piacimento, ad ogni necessità. È questo effetto, in effetti, che crea la dipendenza.
Una delle conseguenze tipiche del Google Effect o meglio della cosiddetta amnesia digitale ad esso correlata è il seguente: a seconda dell’età, ma certamente per quelli già adulti prima del boom di Internet, si “portavano a mente” moltissimi numeri telefonici di amici, parenti, fidanzate, mogli ecc. Tuttavia, oggi, sono ben pochi coloro in grado di ricordare un gran numero di recapiti telefonici senza “frugare convulsamente” nella rubrica dello smartphone. Ecco questo è l’Effetto Google e contemporaneamente è questa la dipendenza da questa tecnologia: il nostro cervello non memorizza più i numeri di telefono visto che non è più necessario. Basta, infatti, una breve ricerca su Internet o meglio ancora sullo smartphone, assolutamente non dispendiosa in termini di memoria, e siamo rapidamente in grado di recuperare l’informazione che ci occorre.
Un’altra dimensione problematica, e forse la più subdola tra quelle fin qui presentate, è l’assenza del pensiero critico. Si tratta di un effetto negativo che è necessario affrontare con decisione. Le persone che utilizzano i motori di ricerca sono ormai predisposti a credere alle prime informazioni fornite dal motore di ricerca, indebolendo la propria capacità di giudizio critico. L’esempio, ormai all’ordine del giorno, è la grandissima quantità di “fake news” che popolano la Rete e dell’incapacità da parte di molti navigatori di Internet di distinguerle dalle vere “news”.
Già lo diceva, un po’ di tempo fa, e molto bene, Umberto Eco in una sua Bustina di Minerva (l’Espresso, 3 gennaio 2014)”: “Caro nipotino mio, ti volevo parlare di una malattia che ha colpito la tua generazione e persino quella dei ragazzi più grandi di te, che magari vanno già all’università: la perdita della memoria. È vero che se ti viene il desiderio di sapere chi fosse “Carlo Magno” o dove stia “Kuala Lumpur” non hai che da premere qualche tasto e Internet te lo dice subito. Fallo quando serve, ma dopo che lo hai fatto cerca di ricordare quanto ti è stato detto per non essere obbligato a cercarlo una seconda volta… La memoria è un muscolo come quelli delle gambe, se non lo eserciti si avvizzisce”.
Già nel 2014 Umberto Eco metteva in guardia contro la perdita della memoria indotta dal ricorso al web.