Ciò che una donna dice all’amante pieno di desiderio bisognerebbe scriverlo nel vento e nell’acqua corrente.
Cicerone lo definiva, con spregio, “poeta nuovo”. Accusandolo di essere frivolo, di non interessarsi alle importanti tematiche della politica e della storia, di fare poesia per diletto, un “ludus”, come il poeta stesso definiva la sua arte. Catullo è forse il primo letterato dell’antichità ad aver celebrato le emozioni, colui che per primo ha “usato” la sua arte poetica per cantare i sentimenti, l’intima sofferenza di un cuore spezzato e l’indescrivibile pienezza di un amore corrisposto.
Catullo può a ben diritto definirsi padre di tutti i poeti, che nei secoli hanno percorso la sua scia, rincorrendo un palpito, una fugace sensazione, un volubile spasmo dell’anima, nel tentativo di renderlo eterno. Attraverso la poesia.
Nato a Verona, nella Venetia et Histria della Gallia Cisalpina, intorno all’87 a.C., poco più che 25enne si trasferì a Roma dove, nei pochi, successivi anni che gli restavano da vivere (morì giovanissimo, appena trentenne, consumato da un’oscuro male sottile), e nonostante il suo disinteresse nei confronti della politica, seguì le vicende relative al primo triumvirato, la sanguinosa guerra condotta da Cesare in Gallia e Bretagna, l’esilio di Cicerone e il secondo consolato di Pompeo.
Malato di nostalgia per la sua terra natale, trascorse anche lunghi periodi a Sirmione, piccola perla adagiata sul lago di Garda che al poeta ricordava la giovinezza vissuta nella sua patria.
Figlio di una famiglia agiata, ebbe contatti con tutti gli uomini più influenti del suo tempo, tra cui lo stesso Cicerone, nemico acerrimo del tribuno Clodio, comandante dei “populares” e fratello della sua musa, Lesbia, al secolo Clodia, resa immortale proprio dai versi di Catullo.
Baciami mille volte e ancora cento | poi nuovamente mille e ancora cento | e dopo ancora mille e dopo cento, | e poi confonderemo le migliaia | tutte insieme per non saperle mai, | perché nessun maligno porti male | sapendo quanti sono i nostri baci.
Catullo cantò la gioia, ma anche il dolore e la gelosia, le pene d’amore dell’amante abbandonato dalla sua donna e costretto a ripiegare su un’altra relazione, come quella con il giovane Giovenzio, una compagnia piacevole ma mai paragonabile a Lesbia, bella, intelligente, colta e spregiudicata, capace di accendere la passione del poeta. Lesbia, così soprannominata in onore della poetessa Saffo, originaria appunto dell’isola di Lesbo, può considerarsi la Musa per eccellenza, madre delle future Beatrice, Laura e Fiammetta, ma anche della più moderna Eleonora Duse. La donna inarrivabile, con cui il poeta intrattiene una relazione complicata, sofferta, fatta di litigi e rappacificazioni, che accende la sua fantasia e i suoi versi.
Sulla scia del poeta greco Camilliaco infatti, Catullo è il primo, coraggioso neóteros che si distacca dal genere epico dei poemi omerici per esplorare la sconosciuta terra dei sentimenti attraverso la poesia. Una poesia che si fa umana, terrena, carnale, affrancandosi dalla ”grandeur” degli epici, dalla faziosità della politica, dalla veridicità della storia. E riconoscendo una, e una sola, verità: quella del cuore.
Giuliana Gugliotti Paolo Maurensig ha scritto: “Sono solo un appassionato, un melomane. La musica è la mia consolazione. Quest’arte […] assomiglia all’idea che mi sono fatto della vita”. Sostituite la parola “letteratura” alla parola “musica” e avrete una esaustiva descrizione di me. Leggi altri articoli dello stesso autore… |
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