Non pensavo mai di diventare uno scrittore. Pensavo di avere buone chances in poesia.
L’avreste mai detto che Andrea Camilleri, uno dei più prolifici romanzieri contemporanei, autore di oltre 100 romanzi, tradotti in almeno 30 lingue e venduti in oltre trentuno milioni di copie, alle origini della sua carriera letteraria non pensava assolutamente di diventare scrittore?
Il primo amore fu, in verità, il teatro, a cui cominciò a lavorare appena diciottenne, il primo a portare sulle scene italiane Samuel Beckett e le avventure de “Il commissario Maigret”, a testimonianza dell’amore senza fine per Georges Simenon, alla cui poetica Camilleri si ispirerà profondamente nella sua carriera di scrittore.
“Ho cominciato a pubblicare, e bene, prima dei vent’anni, su Mercurio. Poesie e racconti. Nel ’47 Ungaretti m’infilò in un’antologia di nuovi poeti. Nel ’48 Contini e Bo m’inserirono in un’altra, accanto a Pasolini, Zanzotto, Turoldo, Danilo Dolci, Maria Corti. Poi, certo, sparisco per mezzo secolo. Mi metto a scrivere una commedia, Silvio D’Amico mi consiglia di fare l’accademia a Roma e qui Orazio Costa dirotta il mio cervello dalla scrittura al teatro. Un lavoro stupendo, che non mi ha lasciato mezzo rimpianto letterario”.
Nato a cavallo tra le due guerre (1925) a Porto Empedocle, figlio unico di una famiglia della piccola borghesia siciliana, Andrea Camilleri cresce con nelle orecchie il suono devastante dei bombardamenti che imperversano tutto intorno, negli occhi la violenza atroce e inspiegabile della guerra; alla maturità, che non conseguirà mai veramente, perché lo scoppio del conflitto gli impedirà di sostenere gli esami, si imbarcò in “una sorta di mezzo periplo della Sicilia”, come lui stesso l’ha definito, “a piedi o su camion tedeschi e italiani sotto un continuo mitragliamento per cui bisognava gettarsi a terra, sporcarsi di polvere, di sangue, di paura”.
Fu forse proprio durante questo viaggio difficile, nei giorni trascorsi a vagare per una Sicilia messa a ferro e fuoco dalla guerra, che Andrea Camilleri gettò nella sua anima il seme dell’ascolto. Già, perché saper ascoltare è secondo lui la prima caratteristica che contraddistingue un narratore, un’attitudine imprescindibile dello scrivere. Perché la fantasia, quando sei autore di oltre 100 romanzi, prima o poi finisce. Invece la realtà non smette mai di fornire spunti interessanti a chi sa come ascoltarla. “La miglior scuola per imparare a scrivere è ascoltare. E naturalmente leggere gli scrittori che ci piacciono e provare a capire come hanno fatto”.
E il primo di questi scrittori è senza dubbio proprio Georges Simenon. Che Camilleri ha letto, studiato, ammirato, e imitato per tutta la sua vita. Proprio da questo amore nasce il personaggio del Commissario Montalbano, anche se con qualche differenza: perché Camilleri, come padre di Montalbano, diversamente da Simenon non ha mai fatto ricerche, né conosciuto poliziotti, né studiato per apprendere le tecniche di indagini. Tutto è nato in maniera spontanea, “forse perché ho l’animo dello sbirro” scherzava lui.
Il primo romanzo di successo, “Il corso delle cose”, arriva nel 1978. Da allora Camilleri non ha mai cambiato il suo modo di scrivere. Si svegliava la mattina presto, e andava avanti dalle 7 alle 10. Il pomeriggio lavorava in Rai, come sceneggiatore. La sera la trascorreva con la moglie, Rosetta Dello Siesto, i suoi tre figli e i quattro nipoti. Una vita metodica, quella dello scrittore seriale. Una vita che Camilleri aveva scelto consapevolmente, chiudendosi di sua spontanea volontà in quella che lui stesso aveva definito “la gabbia del poliziesco”. E’ così che nel 1994 arriva “La forma dell’acqua”, il primo romanzo che vede come protagonista il famigerato Commissario Montalbano, che è anche l’inizio del successo letterario di Camilleri. Ogni scrittore ha le sue catene e i suoi legacci, il romanzo o il personaggio o l’idea a cui lega indissolubilmente la sua fama, senza riuscire a liberarsene per anni, attorno alla quale ruota, tra gioie e dolori, intraprendenza e paure, tutta la sua poetica e la carriera letteraria. Per Camilleri quel punto fisso è proprio il Commissario Montalbano.
Attraverso le sue vicissitudini, le sue storie, Camilleri ha costruito un mondo, una folla di personaggi che si intrecciano sullo sfondo di una Sicilia dimenticata, pittoresca, fantastica, in cui un ruolo fondamentale hanno i sentimenti, le psicologie, i dialoghi, in una lingua a metà tra l’italiano e il dialetto, da cui Camilleri non riuscirà mai ad affrancarsi, “perché l’italiano serve a esprimere il concetto, il dialetto descrive il sentimento”.
Un personaggio intramontabile, nato sulla carta, che, prima di essere identificato dal grande pubblico con il volto di Luca Zingaretti, non ha aspetto, ma solo un “modo”, di parlare, tipicamente in dialetto siciliano, di comportarsi, di essere. Come tutti i personaggi eminentemente letterari, “maschere in un teatro di pupi”, di cui non conta l’aspetto fisico, affidato alla fantasia del lettore, ma solo l’essenza, l’anima di carta e inchiostro che li rende indimenticabili.
Camilleri avrebbe voluto finire la sua carriera “seduto in una piazza a raccontare storie e alla fine del mio ‘cunto’, passare tra il pubblico con la coppola in mano” aveva detto più volte lo scrittore, che ci ha lasciato il 17 luglio 2019 a Roma.
Giuliana Gugliotti Paolo Maurensig ha scritto: “Sono solo un appassionato, un melomane. La musica è la mia consolazione. Quest’arte […] assomiglia all’idea che mi sono fatto della vita”. Sostituite la parola “letteratura” alla parola “musica” e avrete una esaustiva descrizione di me. Leggi altri articoli dello stesso autore… |
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